Inquadramento degli attacchi di panico secondo la psicoterapia psicodinamica integrata

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Minerva Psichiatrica Anno 2007 – Vol. 48 N. 04 – Dicembre (Aggiungere link da DRIVE)

 

INQUADRAMENTO DEGLI ATTACCHI DI PANICO
SECONDO LA PSICOTERAPIA PSICODINAMICA INTEGRATA (PPI)

Organization of panic attack according to Psicodinamic Psychotherapy Integrated (PPI)

G. LAGO, C. BOTTONI*, S. AFSHAR**

 

Istituto Romano Psicoterapia Psicodinamica Integrata (IRPPI)
*IRPPI e Istituto Romano Disturbi d’Ansia e Panico (IRDAP)
**Dipartimento di Psichiatria “Ospedale Careggi” Firenze

Riassunto-Summary
A justified diagnostic distinction has brought to define two principal pathologies correlated to anxiety: anxiety-panic and generalized anxiety.
The anxiety-panic suddenly rises up and create a break in the biography of the subject, which is forced, from that moment, to deal with a discomfort that progressively reduces his/her liberty, his/her initiative and it conditions the choices of it.
On the other side we have Generalized anxiety that it is a ground of crop, a kind of cloak that for a long time dress the subject with various emotional symptoms that he feels part of his/her nature do, but that they are the presuppositions for a maladjustment and a strong decrease of selfextime.

Key words: Psicodinamic Psychotherapy – Anxiethy Disorders – Panic Disorders.

 

TESTO

Una giustificata distinzione diagnostica ha portato a definire due patologie principali dei disturbi d’ansia: l’ansia-panico e l’ansia generalizzata.
L’ANSIA-PANICO insorge repentinamente, spesso in un attacco del tipo fulmine
a ciel sereno, che crea una linea di demarcazione nella biografia del soggetto, il quale è costretto, da quel momento, ad occuparsi di un malessere che progressivamente riduce la sua libertà, la sua iniziativa e ne condiziona le scelte.
Dall’altra parte abbiamo l’ANSIA GENERALIZZATA che è un terreno di coltura, una specie di cappa che da sempre veste il soggetto con vari sintomi emotivi che egli sente far parte della sua natura, ma che sono i presupposti per un disadattamento ed un forte calo dell’autostima.

 

La visione psicodinamica del DAP

La visione psicodinamica cosa dice a questo proposito?
Concentriamo l’attenzione sul DAP, tenendo conto che l’origine multifattoriale riconosciuta in letteratura riunisce in sé, secondo un’ottica integrata, fattori biologici, comportamentali, psicodinamici.
E’ importante, però, sottolineare la comorbidità tra disturbi d’ansia e disturbi depressivi, nella loro sfaccettatura. Infatti oggi si parla di “spettro ansioso-depressivo” e non si distinguono più nettamente i due campi, perché si è visto da statistiche che praticamente l’8O% dei disturbi d’ansia nascondono una componente depressiva, e viceversa.
Si è venuta a creare, per così dire, una diagnosi di comorbidità e quindi una diagnosi integrata, anche da questo punto di vista.
L’aspetto psicodinamico più rilevante è il contributo ad un superamento del riduzionismo biologista che ha visto la nascita della stessa categoria in campo biologico, o perlomeno organicistico, nel senso che col DSM III è stata affrontata questa diagnosi, ma con un chiaro intento. Essa sta infatti in Asse I con l’intento di sottolinearne la radice biologica, strappandola così da quella che da sempre è stata la diagnosi psicodinamica di isteria d’angoscia, ovvero agoragobia, o in genere fobia, ecc. In questo caso, invece, circoscrivendo l’aspetto biologico, si è determinato un riduzionismo da superare.
Nel DAP, è scontato il collegamento con il terreno della personalità. Per esempio, nessuno contesta che nel DAP ci sia una personalità più o meno predisposta, con le relative implicazioni riferite a carattere e temperamento, che fanno parlare di ansia di tratto.
Nel DAP, il modo processuale delle manifestazioni impedisce a chi non possiede una visione psicodinamica di operare il collegamento diretto con la personalità, costringendolo a fare uno sforzo per non limitarsi a prendere in considerazione solo i dati biologici.
Nel disturbo della respirazione collegato al DAP, in effetti, ci sono delle alterazioni del SNC che potrebbero stabilire una natura iniziale esclusivamente biologica, che spingerebbe poi eventualmente la personalità ad organizzarsi di conseguenza.
Noi vogliamo invece creare un collegamento diretto, esattamente come si fa abitualmente per gli altri disturbi d’ansia.
Chi ci permette di ricorrere a questa visione psicodinamica è anzitutto in senso generale Eric Kandel il quale, con le sue scoperte e negli ormai famosi articoli del 1998 e 1999, permette l’uscita dal rigido determinismo bio-genetista e dimostra che anche l’apprendimento si esprime in forma biogenetica, in modo totalmente indistinguibile dall’effetto di un tratto temperamentale o dalla reattività di ordine biologico. Questo significa che, con le sue scoperte, Kandel convalida la natura biologica dei disturbi mentali ma documenta scientificamente l’apprendimento, in particolare il modo in cui l’apprendimento si organizza, ovvero in termini biologici-genetici. Con l’apprendimento, si alterano infatti le espressioni geniche e quindi la malattia “sembra” genetica perché sta nei geni, ma in realtà è ambientale perché si è formata in base a stimoli ambientali che hanno modificato l’espressione genica stessa: in sintesi, queste sono le ricerche per le quali Kandel è stato premiato col premio Nobel nel 2000.
Quindi bisogna integrare tutto questo nello sviluppo della personalità e nella organizzazione patologica che viene messa in atto per raggiungere un equilibrio sufficiente alle necessità esistenziali.

 

Freud

Andiamo alla concezione freudiana (tabella 1).

 

Tabella 1

Freud non aveva dati sui quali basarsi e ciò nonostante aveva organizzato lo studio e l’inquadramento dell’ansia in un certo modo che, ancora oggi, è interessante da prendere in considerazione.
Dalla nevrosi d’angoscia egli distinguerà un’ansia conflittuale, psicogena e più graduale, dovuta alla rimozione di un pensiero o di un desiderio, distinta da un’ansia impulsiva, fisiologica, immediata, caratterizzata dal panico e da altre manifestazioni neurovegetative.
Si diceva: la repressione porta all’ansia ed in questo caso si prospetta un blocco degli impulsi. Freud aveva un termine per definire questi disturbi, li chiamava nevrosi attuali, perché erano quei disturbi che faceva derivare da un presunto “ingorgo” della libido. Sono termini assolutamente desueti, però rendono bene l’idea di come procedesse il suo ragionamento clinico, affrontando un tema a lui misterioso, presente in una manifestazione che sembrava svilupparsi in maniera vivace e immediata, come l’ansia impulsiva. L’ansia conflittuale, però, gli rimaneva più comprensibile, essendo alla base di tutte le nevrosi, ossia di tutti i disturbi affrontati dalla psicoanalisi.
Negli anni successivi, Freud arriva a determinare un’altra concezione ancora più interessante, concezione che non nega la prima ma si associa alla precedente, e individua l’ansia come segnale.
In seguito a una minaccia all’equilibrio psichico, l’Io è chiamato a intervenire per evitare l’affiorare di pulsioni che potrebbero infrangere le regole del Super-io o del mondo esterno.
A questo punto si inverte il discorso, è l’ansia che porta alla repressione: qui si instaura una concezione per cui lo stimolo, la manifestazione, induce un’organizzazione della personalità che tende a contenere quest’ansia, tende ad evitare che avvenga qualcosa di grave, come una crisi più strutturale.

Riassumendo, la psicodinamica dell’ansia a cosa ci porta? A collegare l’origine del disturbo con un problema inconscio relativo ai periodi evolutivi e alla condizione strutturale della personalità.
Nel corso degli anni, nella cultura psicoanalitica, all’unica componente conflittuale si è affiancata la componente biologica, ormai riconosciuta dalla maggior parte degli psicoanalisti attuali.
Come riporta uno studio psicodinamico recente, uno dei pochi, forse l’unico fatto in Italia (Faravelli e Pallanti, 1989), l’ansia di separazione è un tema significativamente più frequente nei sogni e nei ricordi di pazienti con panico rispetto ai controlli.
E’ una sottolineatura di qualcosa che è avvenuto sia all’interno della personalità, sia nelle relazioni interpersonali.
L’abbandono dell’esclusiva concezione conflittuale dell’ansia corrisponde, a nostro avviso, alla convalida della teoria dell’attaccamento rispetto alla teoria delle pulsioni. Seguendo infatti la seconda impostazione di Freud, quella dell’ansia come segnale, anziché dell’ansia conflittuale, si riesce a introdurre la teoria dell’attaccamento in un sistema teorico che, come è risaputo, l’ha contrastata e condannata per anni. Ultimamente, invece, la teoria dell’attaccamento è stata accolta dal mondo psicoanalitico (Fonagy), non senza una certa diffidenza, e numerosi tentativi di dimostrare la validità della precedente teoria delle pulsioni.

 

Sistema Attaccamento e DAP

In che modo possiamo la valutazione del Sistema Attaccamento (SA) ci permette di migliorare la nostra visione psicodinamica rispetto al DAP?
Intanto permette di recuperare una visione intersoggettiva, sia in termini biologici, sia in termini psicodinamici.
Il disturbo di panico si manifesta come il fenomeno più eclatante di una accentuata sensibilità alla perdita della sicurezza e della protezione, le quali conducono alla sostanziale perdita della libertà dell’individuo. Il soggetto affetto da disturbo di panico si colloca in una zona di “tranquillità” che è assai angusta e riduttiva, al fine di consentirgli di sfuggire ai due opposti della separazione e dell’attaccamento intenso.
Come Scilla e Cariddi, separazione e attaccamento minacciano il suo fragile equilibrio di personalità. Il Sistema Sessualità (SS), che si organizza nel corso dello sviluppo evolutivo, si innesta sul SA, subendo le carenze che derivano da quest’ultimo. La considerazione del SS come sviluppo del SA contraddistingue il nostro indirizzo psicodinamico integrato (Lago, 2006) e ci differenzia dall’indirizzo psicoanalitico classico, il quale sostiene la presenza di un SS già alla nascita (libido, pulsione). Il metodo della PPI (ivi), sorretto dalle conferme da parte dell’infant research, sostiene che non ci sia una sessualità così evidente alla nascita, e che non si possa parlare tantomeno di edipo nei primi mesi o anni di vita. Per la PPI (ivi), la presenza di attaccamento insicuro (ambivalente, evitante) o disorganizzato, impedisce che la maturazione sessuale coincida con uno sviluppo corrispondente dell’identità del soggetto.
Le ricerche della psicologia scientifica hanno accertato che il SA precede il SS e quest’ultimo, necessariamente, si innesta sul primo.
Date le carenze del SA, l’immagine corporea, risultato mentale della maturità e dell’acquisizione di un senso di sé adulto, risulta inconsistente e fittizia. Il soggetto è costretto a ricorrere alla “protesi” di un falso sé, costituita mediante l’adeguamento a criteri autoprotettivi, ma anche esibizionisti e idealizzati.
Quindi si parla della formazione di un falso sé che è concetto molto interessante proposto da Hellen Deutch e poi sviluppato da Winnicott, un concetto sicuramente utile, con il quale si definisce la funzione innanzitutto di maschera, di scudo nei confronti della realtà esterna e delle relazioni interpersonali. Il falso sé si alimenta alla luce di fattori narcisistici ed esibizionistici, ed inseguendo anche una forma di idealizzazione astratta che è poi quella che guida il soggetto verso un ideale di autoaffermazione in termini narcisistici.

 

L’organizzazione DAP

Per meglio sintetizzare gli aspetti della personalità, proponiamo questo termine di organizzazione del disturbo di attacchi di panico o DAP (tabella 2).
Il falso sé rende precario l’equilibrio del soggetto e minacciosa una crisi di stabilità; esso è costituito da aspetti imitativi, da identità illusoria e idealizzata, da aspetti razionali, con ottusità dei propri livelli emotivi, da aspetti anaffettivi, con anestesia emotiva. Il tutto organizzato in modo da formare questa entità psicocomportamentale che è il falso sé.
La crisi di panico, così, si caratterizza per la perdita catastrofica della sicurezza illusoria, per l’emergenza di vissuti emotivi prima negati ed elusi, per una percezione di vulnerabilità e frammentazione del SA.
C’è una contrapposizione tra lo stato non autentico, che sarebbe il falso sé e la condizione critica, con la perdita catastrofica della sicurezza illusoria, a causa dell’emergenza dei vissuti emotivi prima alienati e ottusi. Il soggetto, a questo punto, si percepisce vulnerabile e frammentato, sfociando in atteggiamenti depressivi o paranoidi. Sono due atteggiamenti che si alternano nello stesso soggetto, oppure uno dei due può prevalere.

 

Tabella 2

Ci permettiamo pertanto di criticare la versione psicodinamica classica, ma appoggiandoci a degli argomenti validi, che speriamo di dimostrare.
Il limite della visione psicodinamica anche attuale ed aperta al riconoscimento della componente biologica del DAP, consiste, a nostro avviso, nel permanere della concezione conflittuale intrapsichica, cioè considerare soltanto il conflitto intrapsichico all’interno delle varie istanze, quelle classiche della topica freudiana, Es, Io e Super-Io, la qualcosa significa rimanere intrappolati in un discorso senza prospettiva.
In sostanza, il soggetto entrerebbe in crisi – sostiene l’ipotesi classica -per un’insight sul proprio vero sé, con perdita dell’idealizzazione e ferita narcisistica. Il soggetto quindi ha un falso sé, egli crede di avere questa identità falsa che espone all’esterno, ma in un determinato momento della sua vita un evento esterno o una coincidenza fra esterno e interno gli rivela il vero sé; egli allora apre uno sguardo sulla sua vera realtà, si rende conto di essa (insight) e quindi entra in crisi.
Noi contestiamo tutto questo. Non riconosciamo alcuna presa di coscienza mentale nel DAP. Questo autoinsight potrebbe esserci benissimo in altre dimensioni conflittuali, come avviene classicamente in una dimensione conflittuale cronica. Ma, secondo noi, non riguarda il DAP, il quale si manifesta senza alcuna presa di coscienza. Il nostro soggetto con DAP non è in grado di pervenire ad alcun insight sulla sua realtà interna!
Il soggetto con DAP vive, a nostro avviso, lo scompenso di un equilibrio precario: c’è un disturbo biologico già precedente che si è instaurato, anche se di natura legata all’apprendimento (Kandel), esso comunque rimane un disturbo biologico, infatti lo scompenso dell’equilibrio precario si manifesta con la confusione: il nostro soggetto si presenta a noi confuso e disorientato, altro che insight! Altro che presa di coscienza sui suoi problemi personali! Non c’è una vera messa in crisi o destrutturazione! Un soggetto ansioso è curabile molto bene con la psicoterapia, e con la psicoterapia psicodinamica in particolare, anche senza l’aggiunta di psicofarmaci. Ma se il soggetto si presenta da noi con un attacco di panico, è assolutamente impossibile per noi intervenire unicamente con la psicoterapia, anche perché con questa sua crisi il soggetto ha messo bene in evidenza delle grosse lacune, carenze del SA che si esprimono in termini assolutamente non consapevoli e dipendono da esperienze emotive e affettive tali da suscitare un malessere continuo.

 

La Psicoterapia Psicodinamica Integrata

La Scuola IRPPI* ha approntato un metodo del quale facciamo una sintesi. Proponiamo per inquadrare la personalità di base un’organizzazione in tre livelli mentali (tabella 3):

  • protomentale,
  • pensiero inconscio,
  • pensiero verbale

 

Tabella 3

*Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata
Il lavoro che svolgiamo nella relazione terapeutica è la mentalizzazione (Fonagy), cioè un lavoro di psicoterapia che consiste nello sviluppo di questi tre livelli mentali.
Innanzitutto bisogna tenere conto, a nostro avviso, di due inconsci e non di un inconscio unico (tabella 4). L’inconscio non può più essere considerato unicamente secondo la concezione classica, perché ci sono state delle scoperte scientifiche che hanno permesso di distinguere due aspetti dell’inconscio, il Protomentale che è appunto un inconscio preverbale, presimbolico, preriflessivo, legato alle prime esperienze di vita e alla vita emotiva e affettiva e che dipende dalla memoria implicita. Quest’ultima non permette il ricordo e quindi non si può richiamare alla coscienza e non è analizzabile secondo la psicoanalisi perché non è rimossa, restando così assolutamente sconosciuta allo stesso soggetto. La memoria implicita è capace di esprimersi solo in forma comportamentale, mentre non si esprime mai attraverso una entità che possiamo definire anche lontanamente “rappresentazione”.

 

Tabella 4

La memoria implicita, quindi; non permette il ricordo ma consente invece la riedizione di esperienze emozionali in occasione di certi stimoli psicofisici. Cioè, quando il soggetto si trova, per esempio, in una situazione di separazione e di abbandono, egli vive l’angoscia. Se non si trova in quella determinata situazione, non vive l’angoscia e non ne è consapevole; così egli non ne può divenire consapevole fino a che non c’è uno stimolo che gli susciti la crisi: questo è l’inconscio Protomentale.
Il Pensiero Inconscio invece è un inconscio simbolico, prelinguistico, nel quale si formano le immagini mentali relative alla sintesi delle esperienze protomentali: le esperienze emotive vengono organizzate e quindi sintetizzate, e si trasformano in elementi del pensiero, un pensiero che ancora è inconscio e che però si può esprimere anche a parole una volta che viene alla coscienza, cioè una volta che, trovandosi nella memoria esplicita, venga organizzato sotto forma di ricordo, ricordo autobiografico o di immagine storica di sé.
In questo la psicoterapia può lavorare molto bene ed facilitare questo affiorare delle immagini e la traduzione in parole del pensiero inconscio.
Occorre sottolineare che il Pensiero Inconscio è definibile concettualmente come “un attività mentale organizzata, prelogica e prelinguistica, che si esprime in maniera non verbale, questo però non vuole assolutamente essere né un concetto reificato, né altro, ma soltanto un’organizzazione mentale che noi possiamo cogliere nella relazione con il paziente, ma che non possiamo fotografare né con la neuroimaging, né ipotizzarla come processo neurofisiologico, perché è un qualcosa di contenuto, ma fa parte di quelle realtà che i neuroscienziati chiamano qualia, in quanto non si possono studiare col metodo fisico e biologico, ma si devono per forza ricavare attraverso metodi concettuali.
Gli elementi emotivi e affettivi che compongono il Protomentale, contenuti e organizzati, prima grazie alla madre e poi dal soggetto stesso, con l’interiorizzazione della relazione di attaccamento, vanno a configurare flussi di immagini mentali, ovvero rappresentazioni di sé e dell’altro da sé.
Sono queste le immagini che compongono la dimensione inconscia.
I sogni sono un esempio concreto della capacità produttiva del Pensiero Inconscio, in grado di fondere memorie implicite, esplicite e fantasie. Le fantasie sono eventi aggiuntivi dinamici, per cui il soggetto arricchisce con un apporto personale creativo ciò che viene elaborato dalle esperienze emozionali e affettive dovute all’esterno, pervenendo così ad una forma di simbolizzazione non verbale. Il sogno è una forma di simbolizzazione non verbale che lega il sé al Protomentale, nel momento in cui riesce ad organizzare gli affetti e le emozioni.
Con il nostro metodo si interviene su questi tre livelli. L’intervento biologico attraverso i farmaci assume in questa metodica la funzione di modificare la produzione di elementi emotivi e affettivi non mentalizzati e di equilibrare o riequilibrare la sintonia mente-corpo.
Il contemporaneo uso della parola che ricostruisce ed interpreta nel contesto di una relazione empatica, può consentire lo stabilirsi innanzitutto di una funzione vicariante di organizzazione in pensiero del Protomentale in eccesso, contribuendo ad aumentare la produzione di immagini e fantasie nel Pensiero Inconscio del paziente.
La relazione terapeutica, comprendente anche l’uso dei farmaci, avrà quindi l’obiettivo di ristabilire la sanità di base, ossia di riorganizzare il SA, fornendo una nuova opportunità di esperienza sicura di attaccamento e favorendo un buon livello di mentalizzazione, fino alla perdita della fatuità di linguaggio e l’acquisizione di un Pensiero Verbale coerente.

 

PPI e DAP

Dopo aver esposto in linee generali il tema, vediamo di riassumere la nostra concezione del DAP secondo i tre livelli mentali della PPI (tabella 5). I livelli mentali vanno comunque considerati nella loro reciproca articolazione e si riferiscono alla personalità che più facilmente produce il DAP:

Protomentale: vediamo esservi un eccesso, una labilità biologica, attaccamento insicuro o disorganizzato; c’è un’angoscia depressiva che è legata alla perdita di un legame precedente, cioè il soggetto manifesta depressione per un’angoscia di perdita, oppure manifesta un’angoscia paranoide perché ha paura di un nuovo legame. Il soggetto è tra Scilla e Cariddi, tra l’angoscia di separarsi e l’angoscia di legarsi, così cerca di navigare in mezzo a queste due rocce, ma ogni tanto va a finire o nell’una o nell’altra.

 

Tabella 5

Pensiero Inconscio: caratterizzato da una difficoltà di mentalizzazione, un disturbo che arriva fino al blocco; le immagini mentali di sé e dell’altro da sé sono incomplete, il pensiero onirico (che si manifesta nei sogni) è improntato alla contrapposizione tra il piano estetico-narrativo, la struttura narrativa del sogno, ed il piano affettivo che si distacca ed emerge con molta chiarezza.

Pensiero Verbale: organizzato secondo il falso sé, secondo livelli vari di inconsistenza e secondo la gravità della crisi (e della diagnosi); notiamo fatuità, razionalizzazione, esibizionismo. Il sistema emozionale della vergogna induce ad evitamenti e a comportamenti manipolativi, al conformismo e al perfezionismo. Sono tutti comportamenti che arricchiscono l’armamentario del falso sé.

Aspetti controtransferali e diagnostici
Vediamo di analizzare anche aspetti controtransferali che è possibile mettere in evidenza nella relazione terapeutica quando ci si trova di fronte ai vari tipi di DAP.
Abbiamo distinto tre patologie fondamentali che vengono definite con termini “contenitori”, tali cioè da racchiudere le principali aree patologiche delle malattie mentali.

 

SDOPPIAMENTO ISTERICO.

Il soggetto compreso in quest’area, che comprende un po’ tutte le nevrosi, richiede accudimento e sostegno, propone una dipendenza di tipo infantile, in un modello di relazione figlio-genitore. Inoltre, nutre aspettative magiche di guarigione e manipola in vista di vantaggi secondari. La fenomenologia è più simile all’ansia generalizzata ma può sovrapporsi al DAP. Il terapeuta ha fin da subito la sensazione che il soggetto potrà apprendere dall’esperienza e superare la sua condizione, modificando la struttura del sé.

 

POLARIZZAZIONE BORDERLINE.

Racchiude i disturbi di personalità. Il soggetto, in quest’area, trasmette angoscia, quindi il terapeuta che lo incontra vive l’angoscia catastrofica sulla propria pelle, investito com’è dal vissuto del paziente. Il soggetto minimizza la componente psicologica: egli vuole affrontare soltanto la componente somatica, di cui si lamenta; tende ad indicare eventi scatenanti che sviano l’attenzione dalla propria struttura di personalità, cioè contestualizza ottimamente la crisi, allontanando quello che dovrebbe invece evidenziarsi sulla base dell’indicazione dell’ansia segnale, ossia la fragile struttura del sé.

 

FRAMMENTAZIONE PSICOTICA.

L’attacco di panico non è specifico di questa patologia, però notiamo anche come gli psicotici abbiano delle manifestazioni simili, ma dobbiamo tenere presente la diagnosi differenziale, infatti in questo caso si parla di terrore e non di angoscia. Notiamo la perplessità, e possiamo vedere quella classica manifestazione psicopatologica che è la “wahnstimmung”, cioè l’atmosfera che non esprime con chiarezza il contenuto del delirio, ma è già angoscia delirante.
Il terapeuta può avvicinarsi alla diagnosi con un’operazione personale di valutazione e di sensibilità chiamata “praecoxgefhull”, come ci insegnano gli psichiatri fenomenologi (Lago, 2002), oppure considerare l’incomprensibilità della crisi secondo la diagnostica jaspersiana, o ancora valutare il “senso del vuoto”.
Questa del “senso del vuoto” è un tipo di valutazione che si fa empaticamente nel rapporto-incontro con il paziente.

Sintetizzando quella che è la diagnosi psicodinamica del DAP secondo il nostro metodo, abbiamo:

SDOPPIAMENTO ISTERICO: il soggetto manifesta impotenza e difficoltà di autonomia. In questo caso noi consideriamo la crisi come salutare, perché interrompe il comportamento manipolativo ed esibizionistico dell’isterico. L’intervento consente la ripresa del lavoro di mentalizzazione e l’integrazione mancante tra il SA e il SS (Lago, cit.).
Il DAP in un’isteria o in una nevrosi in genere è un segno buono, cioè è un bene che si manifesti la crisi derivata dall’incontro con stimoli in grado di attirare il soggetto verso una presa di coscienza e una considerazione per il suo livello di sviluppo incompleto. Le crisi di questo tipo sono produttive e nell’intervento psicoterapeutico i soggetti trovano il modo di arrivare ad una soluzione.

POLARIZZAZIONE BORDERLINE: invece si manifesta con crisi catastrofiche che spingono il soggetto verso comportamenti evitanti e a manovre difensive, per diminuire il senso di catastrofe. Il principale sforzo del soggetto è quello di ritornare allo status quo ante, alla situazione precedente, senza assimilare alcun cambiamento o elaborare le esperienze traumatiche. Si tratta di manifestazioni gravi che concorrono al malessere somatico, per cui bisogna fare sempre la diagnosi differenziale. Si è visto che c’è una quota percentuale alta (40%) di disturbi cardiaci denunciati in Pronto Soccorso che sono invece attacchi di panico (); il soggetto con questi attacchi presenta tachicardia con dolore retrosternale, e spesso gli vengono fatte tutte le analisi del caso, per scoprire poi che non ha una malattia organica. La condizione scissa tra un polo affettivo ed uno idealizzato è dovuta alla disorganizzazione del SA e al disturbo del processo di mentalizzazione (ivi). La risoluzione del DAP è possibile con l’aiuto di farmaci ma diventa definitiva solo con la fine del disturbo di personalità.

FRAMMENTAZIONE PSICOTICA: la crisi è una “perdita della pelle” manierata, il manierismo tipico dello psicotico, che nei momenti di scompenso va incontro ad agitazione psicomotoria. L’elemento scatenante può essere, ad esempio, una minaccia all’equilibrio autistico che, in questo caso, si manifesta con un disturbo che assomiglia al DAP. Ma è quasi sempre una crisi delirante allucinatoria che però, nelle sue prime manifestazioni, può sembrare qualcosa per cui fare ricorso all’internista; le ragioni comunque sono sempre insite nella rottura di un equilibrio di compenso psicotico.
Questa crisi si vede nelle fasi acute più che nelle psicosi croniche. La crisi può essere confusa con l’attacco di panico: non si tratta però di un attacco di panico ma di un episodio di scompenso psicotico.

 

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