Uno sguardo al legame adottivo

Libri / Mente e Cura

L’intersoggettività nello sviluppo del Sè: uno sguardo al legame adottivo

A cura di Maria Teresa Rossi e Alessia Carleschi

“La mente è una struttura relazionale e non può nutrirsi da dentro, se prima non sia stata nutrita da fuori, attraverso dei buoni legami”.(Winnicott)

Abstract

Il libro che prendiamo in esame, “Giusto il tempo di arrivare” di Francesca Motta (2021), è un’autobiografia di una storia di adozione che l’autrice ha presentato al Convegno dal titolo “Affido: una scelta d’amore” promosso dal Lions International e tenutosi a Roma il 29 Aprile 2022. L’elaborato vuole porsi come riflessioni sulla valenza dell’adozione quale “sfida” per la ri-costruzione di un legame di attaccamento funzionale e sicuro, che deve fare i conti con le ferite lasciate dal vissuto traumatico dell’abbandono. La storia di Francesca incarna il concetto di “sfida” laddove la realizzazione del nuovo legame di attaccamento è stato ostacolato dal trauma dell’abbandono. La narrazione della sua storia porta Francesca a riparare la rappresentazione mentale di sé e dell’altro: “Con la stesura del libro ho trovato il tassello mancante per concludere l’elaborazione … adesso ho la mia storia”.

 Parole chiave: Adozione, Attaccamento, Trauma, Legame

Uno sguardo al legame adottivo

L’adozione, ponendosi quale esperienza emozionale correttiva, si propone di trasformare il trauma relazionale infantile del primario processo di attaccamento in un’esperienza intersoggettiva dal valore riparativo offrendo la possibilità al bambino di ri-cominciare a scrivere la propria storia.

Lo scenario che caratterizza il processo adottivo è quello di una doppia mancanza: della coppia alla quale manca un figlio, di un bambino al quale mancano dei genitori. Se entrambi i protagonisti riusciranno a colmare questa “mancanza” grazie alla sintonizzazione emotiva, tra “emisferi destri” (Schore,2022), si realizzerà quell’evento carico emotivamente di una “doppia ri-nascita”.

Partendo dal presupposto che la mente si sviluppa a partire da un’iniziale forma disorganizzata di elementi emotivi ed affettivi, impressi nella memoria implicita, Protomentale, si delinea sempre più chiaramente come il senso di sé del bambino nasce all’interno di una relazione evolutiva con l’adulto di riferimento, dove da un primo momento in cui il Sé si organizza partendo dall’indispensabile funzione regolatrice degli stati affettivi da parte del caregiver, arriverà ad un processo di maturazione affettivo-cognitivo in cui impara ad autoregolarsi attraverso la formazione di “immagini mentali”,

Ma affinché questo avvenga in maniera ottimale, è necessario che la madre si sintonizzi in modo sensibile e responsivo sui bisogni del figlio in modo da garantire: “prossimità”. Si ritorna così all’importanza dell’attaccamento e di come, da fattore che facilita la crescita favorendo l’esplorazione dell’ambiente fisico e di stati mentali propri e altrui, può diventare un fattore di rischio per l’insorgenza di patologie della personalità quando è insicuro o disorganizzato.

Attaccamento disorganizzato nelle relazioni traumatiche

Diversamente dallo scenario di un attaccamento sicuro che favorisce lo sviluppo di un Sé integrato, un attaccamento insicuro inibisce la crescita, compromettendone l’organizzazione nonchè la capacità del bambino di formare legami significativi. Si pensi ad uno scenario caratterizzato da continue rotture del legame senza riparazioni, trascuratezza, violenza psichica e/o fisica o presenza patologia psichiatrica in cui il caregiver induce nel bambino stati traumatici duraturi di affetti negativi.

Questo adulto risulta inaccessibile e reagisce all’espressione di emozione e di stress del bambino in maniera inappropriata e/o rifiutandolo, mostrando in questo modo una partecipazione minima, assente o imprevedibile ai processi di regolazione dell’attivazione. Poiché non fornisce però alcuna riparazione interattiva, gli intensi stati di affettività negativa si protraggono per lunghi periodi di tempo. Le evidenze scientifiche (Schore, 1994) dimostrano che la reazione psicobiologica del bambino al trauma relazionale include due tipi di risposta: iperattivazione e dissociazione.

Il fallimento dell’ambiente di holding materno, causa una discontinuità nel bisogno del bambino di “continuità dell’essere”, discontinuità che Bromberg (2011) chiama “vuoti” dissociativi nella realtà soggettiva, degli “spazi” che circondano gli stati del Sé del bambino interrompendo la coerenza del Sé. E questo è il vissuto che riusciamo a cogliere dalla narrazione di Francesca.

Il vuoto affettivo-relazionale nei bambini adottati

Costruire un sano modello identificativo, per un bambino abbandonato è ben più complesso. Nel caso di abbandono precoce, come nel caso di Francesca, un contatto reale con il genitore non è stato sperimentato tanto da lasciare traccia dal punto di vista mnestico. L’approccio al genitore è dunque simile ad una fantasia, un’immaginazione, un pensiero senza riscontro empirico.

Quello che per gli altri bambini costituisce il ricordo di un vissuto concreto con il genitore biologico, nel caso dei figli adottati, abbandonati alla nascita, si mostra dunque nel duplice aspetto di un vuoto affettivo o di una dimensione traumatica e deteriorante, che in entrambi i casi rischia di trasformarsi nell’elemento ostativo di un percorso evolutivo sereno e funzionale.

Ecco, dunque che il vuoto affettivo lasciato dal genitore biologico viene colmato di fantasie preservanti, contaminate da elementi allucinatori e irreali in cui la rabbia sperimentata per l’abbandono viene scotomizzata a favore di un’idealizzazione adorante e devota, in cui il genitore biologico è il solo elemento a non venir distrutto.

Una condizione di pensiero prelogico e una minor sopportazione del dolore emotivo-determinate da uno stadio evolutivo immaturo- rendono più probabile l’adozione di meccanismi di difesa idealizzanti, con cui il bambino cerca di fronteggiare l’incapacità rielaborativa dell’abbandono.

Il pensiero magico svolge in questo caso una funzione assolutoria dell’oggetto d’amore perduto, salvato a dispetto del Sé.

In Francesca, il fallimento del processo di identificazione con il genitore “reale” sembrerebbe stato sostituito con l’interiorizzazione di un’immagine mentale fantastica “madre che non c’è”, diventata un’idealizzazione “mortifera” di un dolore abbandonico, intrusivamente insediata sotto forma di “Sé alieno”.

La ferita dell’abbandono

Gli studi sui bambini istituzionalizzati sono, nella loro drammaticità, un altro esempio di come gli esiti delle prime esperienze siano fondamentali nello sviluppo sociale e cognitivo del bambino. Da diversi studi risulta evidente che la mancanza di adeguate cure nei primi mesi di vita ha un impatto sullo sviluppo delle connessioni nervose e sul metabolismo di alcune aree del cervello. Tuttavia, il problema non è da ricercare solamente nell’assenza di cure che un individuo si “aspetta” di ricevere, ma anche il tipo di cure che riceve in alternativa dall’ambiente. La domanda quindi che potremmo porci rispetto ai bambini adottati riguarda proprio queste esperienze. Chi hanno potuto imitare? Con chi si sono potuti “rispecchiare”? E soprattutto qual è il modo migliore, se c’è, per sanare la ferita dell’abbandono ed offrire un legame di attaccamento “sufficientemente buono” da consentire al bambino un sano sviluppo delle competenze affettive e relazionali?

Genitorialità e legame adottivo

L’adozione tocca direttamente la sfera intima, sia per il bambino, sia per la coppia, che vede l’adozione come opportunità di formare un nucleo famigliare. Una delle prime difficoltà in cui si imbatte una coppia è costituita dalla costruzione dello spazio mentale per il figlio che verrà. Il desiderio del bambino “destorificato”, senza passato, spesso nasconde la paura della coppia a confrontarsi con la storia del figlio (D’Andrea, 2006).

Diversamente la storia del figlio adottato rappresenta un tassello significativo della sua identità e, quindi, non deve essere “cancellata” o negata, ma riconosciuta come un elemento fondante della sua vita. Quella storia, nell’esperienza adottiva, entrerà a far parte della storia della famiglia che lo adotterà oltre ad aiutare il bambino, futuro adulto a raggiungere la piena integrazione del Sé.

Accettare il figlio come proprio senza negarne le origini diverse e la storia, può infatti, influenzare la costruzione della rappresentazione di sé nel ruolo di genitori, dell’immagine del figlio e della percezione della propria relazione con lui. Risulta perciò di fondamentale importanza per l’evoluzione della famiglia e per l’adattamento psicosociale del figlio adottivo, il modo in cui la famiglia adottiva tratta la differenza tra sé e le famiglie naturali.

La storia di Francesca

Francesca è una giovane donna di 25 anni adottata all’età di 3 mesi.

Nasce il 23 marzo 1997 a Roma presso l’Ospedale S. Giovanni. Non riconosciuta al momento del concepimento, è stata resa adottabile da subito ed inserita in Casa Famiglia in attesa di diversa collocazione. E’ di origini asiatiche, di Laos per la precisione, ma questa informazione l’avrà in un secondo tempo e pian piano riesce a trovare spazi per integrare il proprio sé. Decide di scrivere il suo libro all’età di 23 anni, spinta dal bisogno di “raccontare la sua storia…per rendere più leggero un argomento che …è un macigno”.

Il racconto e la sofferenza di Francesca ruotano tutte intorno a tre tematiche: la ricerca delle sue radici, della sua identità e il ‘vuoto’. “Non è per niente semplice cercare una storia inesistente” (ivi p.13).  Francesca riferisce che tuttora le capita di ‘sentirsi a volte sola’ ma adesso, dopo la ricerca di sé e la terapia, quando prova quella sensazione, cerca di ascoltarsi, di capire a cosa è dovuto, “…mi guardo dentro fino a che non sono stremata e alla fine, dentro di me, trovo la risposta.”

In conclusione, l’importanza della “narrazione” della propria storia, quale senso di continuità ed integrazione tra un prima e un dopo ha contribuito al raggiungimento di un’integrazione di vissuti emotivi che hanno dato forza e coerenza al suo senso di Sé.

Bibliografia

Alexander, F., & French, T. M. (1946). Psychoanalytic therapy; principles and application. Ronald Press.

Allan N. Schore Psicoterapia con l’emisfero destro. Raffaello Cortina Editore, 2022.

Bowlby, J. (1982). Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Bromberg P. M. (2011) L’ombra dello tsunami, la crescita della mente relazionale. Raffaello Cortina Editore.

D’Andrea A. (2006) I tempi dell’attesa. Come vivono l’attesa dell’adozione il bambino, la coppia e gli operatori, Franco Angeli, Milano.

Motta F. (2021) “Giusto il tempo di arrivare”, Gruppo Albatros, Roma.

Schore A.N. (1994) Affect Regulation and the Origin of the Self, The Neurobiology of Emotional Development. Lawrence Erlbaum Associates, Inc.

Link

Minori adottati, linee guida Cismai | Minori.it – Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza

Requisiti di “qualità” per gli interventi a favore dei minori adottati (2011)

Motta F. “Giusto il tempo di arrivare”, Gruppo Albatros, Roma, 2021