Riflessioni sul transfert nella psicoterapia psicodinamica integrata

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Reflections on transference in integrated psychodynamic psychotherapy
therapy 

Battisti V. [1], Caporale R[2].

IRPPI – Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata
IRPPI – Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata

Riassunto

Questo lavoro nasce dalla volontà, come gruppo di clinici e scuola ad orientamento psicodinamico integrato (PPI), di ripensare e aggiungere riflessioni al concetto di transfert in un’accezione agile ed aggiornata in relazione ai cambiamenti delle psicoterapie. Il transfert è il cardine della psicoterapia psicodinamica e, in quanto tale, ci preme fare osservazioni che aggiungono al tema riflessioni e prospettive nuove. Nel lavoro saranno presentati brevi casi con sogni per delucidare il lettore sul fenomeno del transfert.
Parole chiave: transfert; psicoterapia psicodinamica integrata; alleanza terapeutica; setting; attaccamento; mentalizzazione.

Abstract

This article stems from the intention of a group of clinicians and a training institute with an integrated psychodynamic approach (PPI) to reconsider and deepen the concept of transference, reformulating it in a more flexible and updated way in light of recent developments in psychotherapy. Transference remains a pillar of psychodynamic psychotherapy and, as such, we believe it is important to contribute with observations that offer new insights and perspectives on the subject. The article presents brief clinical cases, including dreams, to illustrate the phenomenon of transference to the reader.
Keywords: transfert; integrated psychodynamic psychotherapy; therapeutic alliance; setting; attachment; mentalization.

1. Introduzione

Questo articolo nasce con l’obiettivo principale di presentare un lavoro scorrevole sul transfert e con l’intento di descrivere quello che esso rappresenta per la Psicoterapia Psicodinamica Integrata (PPI). Ci preme fare osservazioni ed aggiungere riflessioni a tale concetto cardine della psicodinamica e, in un’accezione snella, rivederlo in relazione ai cambiamenti delle psicoterapie odierne. L’obiettivo è quello di migliorare la pratica e non la teoria, di cui la letteratura psicodinamica è piena.
Nel lavoro saranno presentati brevi estratti di casi e sogni per delucidare meglio il lettore sul fenomeno del transfert in psicoterapia e rendere tali concetti più comprensibili ed agili possibili, nell’ottica di aiutare chi lavora tutti i giorni nella clinica e si trova spesso in dinamiche molteplici che deve gestire.
Lontani dall’ortodossia psicoanalitica che descriveva così il fenomeno del transfert: “Il processo con cui i desideri inconsci si attualizzano su determinati soggetti nell’ambito di una determinata relazione stabilita con essi e soprattutto nell’ambito della relazione analitica” (Laplanche, Pontalis, 1967), per cui, secondo la teoria pulsionale di Freud, l’analista attirava su di sé i desideri inconsci in modo sessualizzato (transfert positivo) o in modo ostile attraverso le resistenze (transfert negativo), il nostro modello PPI sottolinea, sicuramente, la presenza delle proiezioni nel fenomeno, ma con un’attenzione alle dimensioni relazionali evolutive (non pulsionali), ed al legame che si instaura tra i partecipanti al processo con un’attenzione alla parte reale del setting, forti della matrice attaccamentista del nostro metodo.
I trasferimenti (transfert appunto) avvengono in tutte le relazioni. Un esempio classico può essere osservato nelle coppie, nelle quali spesso un partner proietta sull’ altro modalità del proprio genitore dell’infanzia, vivendo e rimarcando vissuti del passato nell’attualità del rapporto. D’altro canto, il partner che accetta la proiezione, spesso si comporta come il genitore, formando una collusione e confermando le reazioni. Su questo punto torneremo più avanti per accennare al fenomeno del controtransfert ed il ruolo delle sensazioni del terapeuta.
Nella psicoterapia questi trasferimenti avvengono proprio così, con la differenza che si possono comprendere e risolvere. Il transfert diviene un’opportunità non sostituibile da altri strumenti terapeutici per la sua caratteristica di congruenza e genuinità che il terapeuta non deve stancarsi di ricercare.
Nella nostra pratica clinica osserviamo talvolta psicoterapeuti che, per inesperienza, tendono a favorire lo sviluppo di una dipendenza dal terapeuta non evolutiva, influenzando così il paziente. In questi casi il professionista rischia di compiacersi all’interno della relazione, senza promuovere una reale evoluzione né un obiettivo di lavoro condiviso, rinforzando l’emergere del transfert — che si manifesta già spontaneamente — anche attraverso l’influenza della suggestione, intrinseca alla relazione terapeutica stessa.
In questi casi, il transfert può manifestarsi in forma positiva, ad esempio attraverso l’idealizzazione del terapeuta, ma può anche assumere una valenza negativa qualora le aspettative di cura del paziente risultino disattese.
Ciò dovrebbe farci ragionare sull’attenzione alle dinamiche che si instaurano tra paziente e terapeuta. Dinamiche che tendono ad enfatizzarsi nella relazione, creando un meccanismo poi difficile da scardinare. La ricerca di un rapporto equilibrato e autentico è sempre un buon punto di partenza, indispensabile per la sorte della terapia e per la cura.

2. L’affetto nel transfert

La psicoterapia ricrea attaccamenti passati che vivono nella mente del paziente, perché la condizione di sicurezza, di sentirsi compresi, accolti in modo totalizzante, porta il paziente a vivere un affetto potente.
Kernberg (2024) nota che i conflitti irrisolti del paziente sono particolarmente evidenti nella relazione terapeutica, sia in maniera esplicita che implicita. La ripetizione di tali conflitti, nel presente ed in modo inconsapevole, ne è la dimostrazione più significativa.
Questi conflitti non oppongono impulsi libidici e aggressivi, ma mettono in contrasto relazioni oggettuali interiorizzate, investite di affetti positivi da un lato e di affetti negativi dall’altro
Nel setting si rimettono in movimento le relazioni oggettuali assimilate nel tempo, riflettendosi nella messa in atto, da parte del paziente, della visione di sé legata al passato, mentre l’immagine dell’oggetto viene proiettata sul terapeuta. L’affetto, positivo o negativo, lega le rappresentazioni e indica il senso della relazione oggettuale passata attivata in senso affettivo nel transfert.
In sintesi, i conflitti evolutivi irrisolti del passato, rimangono attivi, non solo in forma di memorie dissociate e rimosse, ma nell’ottica dei MOI, i modelli operativi interni (Bowlby, 1969) che dominano e motivano la risoluzione nel presente, anche se in forma illusoria. Un comportamento profondo, antico e affettivamente determinato, che non è stato soddisfatto in modo flessibile in passato, produce, dal punto di vista emotivo, una continua pressione ad avverarsi nel presente (Kernberg, 2018). Poiché nell’infanzia, l’esperienza psicosociale della relazione bambino-caregiver viene interiorizzata in un’esperienza emotiva e di consapevolezza di sé, questo processo dona un senso a tale esperienza. Gli affetti simboleggiano, così, la motivazione di base di adattamento all’ambiente, per la conservazione dell’equilibrio dei requisiti biologici fondamentali. Oggi sappiamo che determinati circuiti cerebrali sono coinvolti sia nell’attivazione sia nel controllo di questi sistemi, per cui il sistema limbico organizza l’espressione di affetti principali nelle relazioni intime con le funzioni cognitive delle aree corticali collegate (Panksepp e Biven, 2012).
Un disagio o una traumatizzazione di contesto nell’età evolutiva, con il conseguente fallimento dello sviluppo normale dell’esperienza affettiva, provoca lo sviluppo emergenziale di reazioni emotive attacco-fuga e separazione-panico, che si possono esprimere nell’ambiente sicuro della terapia, luogo di regolazione e di comprensione dei legami affettivi tra sé e gli altri.
Gravi disagi e/o traumi nei primi anni di vita non si depositano nella memoria cognitiva, sono esperienze che non si ricordano, ma che sono “incistate” in comportamenti disfunzionali precoci e in riattivazioni di risposte emotive negative. Queste emozioni vengono attivate nel transfert inconsapevolmente.
Il dialogo terapeutico può lavorare proficuamente per ripristinare una migliore regolazione, con l’integrazione delle parti scisse disregolate o disconnesse della personalità, e contribuire a ripristinare la regolazione degli stati mentali, affettivi ed il benessere complessivo tra mente e corpo.
Queste parti si incontrano in forti momenti presenti nella mente del terapeuta che lavora nelle zone disregolate della mente entrando in prima persona, utilizzando il proprio sé per sintonizzarsi pienamente con e per il paziente (Fase 1 della PPI).
Attraverso la dimensione umana ed empatica il terapeuta partecipa alle sofferenze del paziente con una risonanza interna, senza però colludere e identificarsi totalmente in tali sofferenze che non permetterebbero al terapeuta di comprendere ciò che accade.
Nella Fase 2 della PPI, all’interno del setting terapeutico, attraverso un processo di riflessione si attivano l’elaborazione, la riformulazione e la trasformazione dei significati, favorendo la ricostruzione della storia affettiva del paziente.
Come sottolineato da Caporale e Battisti (2023), il rapporto terapeutico si fonda sul riconoscimento della dualità: due persone che si incontrano e riflettono insieme, con due menti e non una soltanto.

3. Relazione reale o illusoria?

La premessa relativa ai requisiti biologici precoci è proposta con l’intento di accrescere la consapevolezza del lettore rispetto alle sfumature del rapporto terapeutico esclusivo, che richiama per analogia il legame di attaccamento sperimentato dal bambino nell’infanzia.
Quando si sviluppa una psicoterapia, il terapeuta è il responsabile dell’ambiente sicuro al suo interno e, attraverso lo sviluppo dell’alleanza terapeutica (Zetzel, 1956), lavora sugli obiettivi a breve e lungo termine. Il termine alleanza terapeutica è usato in modo intercambiabile con quello di alleanza di lavoro (Greenson, 1967). Nel concetto di alleanza di lavoro notiamo un’accezione più attiva e pratica che rappresenta bene la nostra concezione di psicoterapia come lavoro dinamico avente un obiettivo.
In termini più specifici, possiamo dire che, nel rapporto terapeutico, insieme ad una componente transferale o fantasmatica nella relazione, frutto delle esperienze passate dell’attaccamento che si riflettono nel setting, coesiste una relazione reale, genuina, sincera, non distorta dalla fantasia e soprattutto chiara.
Queste due parti sono presenti e agiscono in compresenza, ma crediamo che questa distinzione non sia problematica perché una persona che cerca aiuto e sicurezza si rifornirà della base di protezione del terapeuta, cioè delle sue capacità reali di vicinanza, comprensione e acume che ha sviluppato con l’esperienza, e nello stesso tempo lo sentirà vicino “come un genitore soccorrevole”, trasferendo in modo illusorio, una propria fantasia di salvezza.
Non è sempre così semplice. Un paziente potrebbe avere una reale voglia di cooperare con il terapeuta ma, allo stesso tempo, nascondere sentimenti di risentimento dietro un transfert idealizzato. I terapeuti esperti, esposti al transfert, individuano questi sentimenti e ragionevolmente li riportano alla comprensione e al significato reale, senza svalutare la componente affettiva.
Il compito e la responsabilità del terapeuta sono quelli di fornire una “base sicura”, di essere partecipe, disponibile, affidabile, attento, di riuscire a mettere confini e limiti, di proteggere la terapia da interruzioni o preoccupazioni e di sviluppare le proprie capacità relazionali attraverso un lavoro che affina tali abilità umane, di comprensione e di esposizione al transfert, senza angosce.
Quando il setting è protetto da agiti e si crea una sicurezza, questo è già un elemento terapeutico che riconosce al paziente la sua sofferenza ed il suo bisogno di essere accolto e riconosciuto.
Ovviamente la rassicurazione e l’empatia da sole non bastano e possono, nel lungo periodo, svilire il senso della psicoterapia che è portata a sviluppare, attraverso i processi di mentalizzazione (Fonagy, Target, 2001), l’autostima e l’autonomia del paziente nel raggiungimento di obiettivi, risorse e conoscenza dei limiti.
Una parte considerevole della psicoterapia consiste nel tirar fuori e modificare schemi ripetitivi e automatici che incombono sul soggetto in modo opprimente. Dal momento che il paziente molto probabilmente svilupperà un legame d’attaccamento, i suoi pensieri, le sue apprensioni e ciò in cui crede saranno portati nello spazio della relazione con il terapeuta, il quale li ripresenterà, man mano che essi divengono visibili.
Così possiamo sintetizzare il concetto di transfert. I modelli o schemi ripetitivi sono principi organizzativi inconsci che governano i processi consci senza apparire (Liotti, 2001). La ripetizione di atteggiamenti, comportamenti, pensieri sono approcci comportamentali, sono le dinamiche ricorrenti che si sviluppano nella vita dei pazienti (potremmo richiamare il concetto psicoanalitico di coazione a ripetere in sintonia con la nostra impostazione culturale), spesso frutto dei problemi che i soggetti si portano dall’infanzia e che fanno rivivere sempre un fallimento, spesso di origine traumatica.
Quando l’attivazione del livello emotivo di origine traumatica è presente, confonde il paziente spingendolo a modelli rigidi e ripetitivi, probabilmente per un’illusione di controllo delle forti emozioni che nel passato erano associate alle difficoltà, alle preoccupazioni e al superamento di ostacoli in modo abitudinario, che si sono presentati nella sua vita, per la presenza dissociata del suo problema.
Alla luce di questo, semplificando, notiamo una differenza tra un transfert nello sdoppiamento nevrotico, in cui l’identificazione di base è positiva, non scissa, dove un caregiver è stato vicino affettivamente, ad un transfert nella polarizzazione borderline dove si è realizzata l’identificazione introiettata violenta, che tende a proiettare fuori di sé. Nel primo caso si verifica un transfert idealizzato, mentre nel secondo caso un transfert negativo dal momento che una qualsiasi frustrazione genera rabbia e odio, permanendo la scissione tra due estremi (bianco/nero).
Con l’inizio della terapia spesso si slatentizzano le angosce ed i meccanismi difensivi, essi si attivano perché il paziente non è abituato a trattare ciò che lo disturba, le emozioni disregolate lo confondono ed il rapporto con il nuovo, rappresentato dalla psicoterapia, lo intimorisce. Quindi eventuali agiti, resistenze e difficoltà possono essere il risultato delle emozioni del protomentale all’interno del setting, elementi che, in qualche modo, impediscono lo spazio di riflessione.
Nella metodologia PPI, il terapeuta, attraverso il lavoro fasico — che comprende la prima fase dell’esperienza emozionale riparativa, la seconda fase della mentalizzazione e la terza fase di espansione dello stato di coscienza (Caporale & Battisti, 2023) — favorisce la costruzione di uno spazio affettivo in cui il paziente possa sperimentare sicurezza, umanità e autenticità.
L’emersione del transfert è indicativo di un primo momento di risposta agli stimoli che, inevitabilmente, si creano dall’incontro con l’altro e che il terapeuta dissemina in modo esplicito ed implicito (Eagle, 2000).
Per costruire questo spazio, il terapeuta si serve dell’empatia, corrispondendo in modo sintonico, sensibile e unidirezionale. L’esercizio dell’empatia, dell’onestà e del calore nell’immediato, fa percepire il terapeuta come un “buon genitore”, in un’atmosfera di accettazione, priva di giudizio e nutrita di atteggiamento non intrusivo e non prevaricatore. Il paziente che non è abituato a quelle sensazioni intrise di affetto deforma, in parte, la visione cosciente della terapia (transfert positivo) e si sente, in modo potente, di meritare quell’attenzione, di averne bisogno come “acqua nel deserto”, perché, nel suo vissuto il genitore del passato non è stato disponibile affettivamente. A questo punto si instaura un transfert genitoriale che porta ad una visione alterata del terapeuta, visto come un “genitore” o “amico”, colui che potrà dare quelle attenzioni non avute in passato.
Viceversa un paziente può sentire di non meritare queste attenzioni scaturite dal setting, ed evitarle per non dimostrare quel bisogno di attenzioni (possibile emersione del transfert ambivalente). Anche in questo caso si instaura un transfert genitoriale: il paziente ha bisogno di quell’empatia ma si inibisce per non affezionarsi troppo ed evitare un possibile abbandono immaginario. Il comportamento, in questo caso, potrebbe essere ambivalente: il paziente ha bisogno ma lo evita. E’ compito del terapeuta osservare e comprendere la dinamica in atto nei transfert negativi nella loro complessità, anche se non mettono a proprio agio, sostenendo la sofferenza che c’è in atto.

I parametri professionali non possono soddisfare il bisogno totalizzante del paziente di essere “il genitore ideale”, perché il lavoro terapeutico mira al cambiamento tramite una serie di passaggi di riflessione e di frustrazione di modalità comportamentali disfunzionali. Questa condizione potrebbe portare allo sviluppo di un transfert negativo, ambivalente, ad una modalità di attacco al setting che il terapeuta dovrà riportare in seduta nel dialogo costruttivo (Fase 2 della PPI).
Le oscillazioni tra istanze diverse, ossia l’attaccamento morboso e successivamente l’indifferenza o l’attacco possono disorientare e paralizzare il terapeuta che le potrebbe vivere in modo soverchiante. L’abilità del terapeuta consiste nel mantenersi coerente, affidabile e sintonico, prestando particolare attenzione a non riprodurre in modo inconscio le esperienze punitive vissute dal paziente nell’infanzia, che costituirebbero una risposta controtransferale (Holmes, 1993)
Un attaccamento sicuro al terapeuta è un nuovo inizio per i pazienti. Per questo è risaputo che lo stesso terapeuta, per tollerare le forti emozioni controtransferali, debba fare un buon lavoro su di sé, utilizzare su se stesso lo strumento che egli stesso propone. In breve, possiamo dire che il tema del controtransfert è strettamente legato ed inscindibile da quello di transfert.
Un buon lavoro terapeutico personale per l’aspirante psicoterapeuta, è lo strumento principale, e diremmo, indispensabile per affinare l’empatia e per accedere in modo integrato ai processi di mentalizzazione. Il lavoro di supervisione, anch’esso fondamentale, è la strada migliore per comprendere le dinamiche di transfert e la non-azione nel controtransfert.
Concordiamo con Eagle (2000) nel ritenere che l’emergere del controtransfert di tipo concordante sia utile alla comprensione, partecipazione e condivisione delle vicende del paziente, senza collusione. Il terapeuta, infatti, deve mantenere la propria autonomia di pensiero e non allinearsi completamente ai contenuti mentali del paziente, con il rischio di perdere capacità di comprensione ed essere trascinato nell’identificazione con il suo vissuto.
Se non si costituisce il controtransfert concordante, avviene la disgregazione della comprensione empatica.
Il concetto di controtransfert concordante è stato introdotto per differenziarlo dal controtransfert di tipo complementare (Racker nel 1968). Quest’ultimo andrebbe a colludere con la proiezione del paziente, cioè il terapeuta dovrebbe far emergere i pensieri ed i sentimenti inconsci del paziente, farli propri, senza interferire nella propria percezione.
Possiamo ragionevolmente affermare che tale allineamento complementare sia dannoso per il paziente e susciti confusione nella comprensione delle vicende che gli sono proprie. In base alla nostra esperienza, ciò accade per stanchezza, stress di vario genere e mancanza di pausa tra lavoro e vita privata del terapeuta, il quale viene assorbito totalmente nelle vicende dei propri pazienti non differenziando i vissuti propri e altrui. Possiamo esemplificare un controtransfert di tipo complementare, immaginando un paziente depresso con idee autodistruttive, se il terapeuta si identifica totalmente con i pensieri del paziente, in ciò in cui crede fermamente (anche pensieri suicidari per esempio), potrebbe in qualche modo confermare il suo vissuto, rinforzando la componente depressiva, in quanto la risposta è reciproca, rispetto ai sentimenti provati dal paziente e quindi senza via d’uscita.

4. Il significato della relazione nel transfert

La psicoterapia è densa di significati e tutto ciò che accade in essa va elaborato, per far questo terapeuta e paziente si immergono insieme nella profondità della storia, dei vissuti, delle emozioni e dei pensieri del paziente condividendo ansie e paure nell’analizzare i vissuti. Considerando che la psicoterapia si muove su tre misure: con-tatto, profondità, senso, il terapeuta procede con cautela accompagnando nell’immersione della storia unica che ha di fronte, approfondendo le dinamiche in atto e dando senso a tutto ciò che accade e che è accaduto.
Come indicato in precedenza, il coinvolgimento “intimo” che si sperimenta durante una psicoterapia diventa assoluto: difficilmente il paziente ha avuto esperienza a due così intensa, dove si richiede di avere fiducia piena, rivelare tutto, non nascondere niente, esaminare ogni gradazione dei sentimenti in modo continuativo.
Proprio per la presenza di emozioni importanti (che la relazione stessa attiva), il paziente può avvicinarsi o allontanarsi per non dover riprovare emozioni spiacevoli. Ad esempio, un paziente che ha subito dei lutti potrebbe aver paura di un allontanamento o di perdere il terapeuta e quindi potrebbe mettere in atto meccanismi per non rivivere questo vissuto spiacevole, evitando il terapeuta mediante assenze, ritardi oppure attaccandosi morbosamente a lui (non accettazione di qualsiasi modifica). Come tecnica terapeutica continuativa, riteniamo che i problemi che vengono discussi ma che non seguono la triade con-tatto, profondità, senso, non sempre vengono recepiti dai pazienti i quali, in taluni casi, preferiscono agire in modalità passivo aggressiva (per esempio saltando la seduta) anziché discutere di un’irritazione, di un’insoddisfazione o una frustrazione che il paziente ha percepito in modo negativo, senza elaborazione ed agendo un distanziamento fisico dal clinico. In alternativa, può capitare che il paziente accontenti il terapeuta in modo compiacente o passivizzandosi, non esponendo una critica per una cosa detta o non detta dal terapeuta.
Portare il paziente a parlare di un problema intercorso nella terapia è un buon modo per dare valore all’alleanza terapeutica e all’eventuale rottura di tale alleanza a causa di un transfert negativo, aiutandolo ad esprimersi sulla propria visione delle cose, aiutandolo ad essere assertivo e a rispondere sul motivo del disagio, non agendolo in modo negativistico.
Crediamo che quest’attenzione alla relazione sia un ottimo modo per aiutare i pazienti ad esprimere in modo più diretto le criticità anche nell’ambiente esterno, al di fuori del “luogo della terapia”. La psicoterapia deve essere fonte di ispirazione e crescita, è un luogo dove il paziente può manifestare senza problemi e dove si possono tirar fuori le proprie istanze con chiarezza.
A volte il paziente non riesce a farlo per varie motivazioni, tra cui l’attivazione di schemi di pensiero che portano alla compiacenza, come se il terapeuta fosse un genitore giudicante o punitivo “se esprimo qualcosa mi punirà o mi farà sentire sbagliato”, che è l’emersione del sé bambino giudicato ed umiliato nell’infanzia. Ecco quindi, che si può manifestare un transfert materno o paterno con paure di “ritorsioni”. Quando questo avviene e non lo si individua, si rischia di non riuscire a capire il problema.
In sostanza, la raccomandazione generale è quella di riparare insieme la rottura dell’alleanza terapeutica, laddove emerga.

5. Casi e sogni

In questo paragrafo esemplificheremo il concetto di transfert tramite brevi racconti di sogni di transfert di pazienti. Attraverso il lavoro sui sogni, incentrato sulla generazione di nuovi significati condivisi e la loro verbalizzazione, è possibile individuare e lavorare per integrare le parti disfunzionali e molto spesso dissociative del sé del paziente (Battisti e Caporale, 2024). Queste parti del proprio schema relazionale patologico, mediante l’enactment, vengono messe “in scena” durante la seduta, utilizzando il terapeuta come “attore” della relazione stessa (Craparo, 2017). Nel sogno, queste parti, trovano la sua espressione piena.

A. Sogni di transfert positivo

A1. V.B. donna 31 anni
Sogno
“Rivivo l’ultimo frame del film Ufficiale e Gentiluomo con Richard Gere. Nella scena del film il protagonista prende in braccio la donna di cui è innamorato e lei felice, prende il cappello della divisa di lui e se lo mette in testa. Nella scena del sogno ci sono io in braccio al protagonista che non aveva le sembianze di Richard Gere ma del mio medico”

La paziente è arrivata in terapia per un problema nelle relazioni, con un forte vissuto depressivo in relazione a scelte sbagliate e difficoltà ad orientarsi nella vita.
Questo sogno, fatto dopo le prime sedute, è molto rappresentativo del transfert erotico verso il terapeuta e con il quale la paziente immagina una storia e probabilmente la fantasia di essere salvata (immagine di lei in braccio al dottore). In questo caso, per non svalutare la componente affettiva presente nel transfert del sogno, è giusto accogliere questa proiezione come indice del conseguimento di un’alleanza terapeutica che si sta formando e della fiducia che la paziente ripone, di questo lo psicoterapeuta deve fare tesoro.

A2. C.P. donna 24 anni

Sogno
“Sono in riva al mare e c’è brutto tempo, ci sono delle onde altissime, io non mi muovo. Un’onda alta mi travolge, ho tanta paura ma sono impotente e bloccata. Sono sola, non c’è nessuno in spiaggia. Ad un certo punto, sento una mano che prende la mano destra e mi tira, è una donna, si fa travolgere anche lei dall’onda pur di salvarmi. La sabbia bagnata e la risacca mi fanno affondare ma lei mi stringe e, con tutta la forza che ha, mi tira fuori. Sono salva e riconoscente di quel gesto. Mi commuovo”

Questa giovane paziente arriva in psicoterapia con forti meccanismi di diniego della realtà e sulle problematiche esterne che la travolgono e di cui fa fatica ad uscirne per una compulsione ad essere accondiscente, a non manifestare il dissenso con gli altri. Nel sogno è riassunto un transfert idealizzato di visione del terapeuta come un salvatore. Vivere le emozioni e sostarvi è un’esperienza positiva; tuttavia, la paziente non riconosce il momento in cui sarebbe necessario prendere distanza da quelle più travolgenti.
Nella fase iniziale, il terapeuta può essere percepito favorevolmente (transfert positivo), favorendo così lo sviluppo dell’alleanza terapeutica e della fiducia nel riconoscere lo sforzo compiuto. In una fase successiva, tuttavia, diventa necessario il lavoro congiunto delle due menti, poiché la paziente tende ad attendersi, in modo quasi magico, che sia l’altro a tirarla fuori dalle avversità. Il compito terapeutico sarà quindi quello di aiutarla a sviluppare le proprie capacità di auto-aiuto, sostenendo la sua autonomia senza che si appoggi esclusivamente agli altri.

A3. M. F. uomo 63 anni

Sogno
“Ero abbracciato ad una donna coetanea, forse una collega, la sensazione era piacevole ed un po’ nostalgica, come se volessi lavorare ancora insieme a lei”

In questo sogno è evidente la sostanza del transfert positivo, nell’abbraccio e in questa sensazione piacevole e un po’ nostalgica, probabilmente perché dopo diverso tempo, arriverà il momento di una chiusura della terapia che metterà alla prova il paziente. Nell’abbraccio si sentono lo spessore e l’intensità del rapporto e la paura di un’eventuale separazione elementi che rimarranno nel paziente in un vera e propria esperienza emozionale riparativa (Caporale, Battisti, 2023).

B. Sogni di transfert negativo e ambivalente
B1.R.C. uomo di 55 anni

Sogno
“Ero con un amico che era depresso, abbattuto, era mogio e steso sul letto. Arriva una donna, forse era la moglie con atteggiamento arcigno, impositivo, di comando e rimproverava il mio amico. Notavo la postura dimessa del mio amico e la donna incombente.”

Il paziente è in terapia per un disturbo ossessivo compulsivo con problematiche nelle relazioni, nel lavoro, tendenze depressive e forte angosce d’abbandono.
In questo sogno il paziente si scinde in due parti: sé stesso e l’amico, che rappresenta la sua parte depressiva dimessa che non reagisce. La comparsa della donna, forse come moglie, dura incombente, giudicante è il segno della comparsa di un transfert ambivalente, nel quale il paziente fa emergere il desiderio e la paura di essere trattato dalla terapeuta in modo giudicante quando è triste e depresso, ossia quando fa emergere i suoi lati deboli, con la paura che non siano accolti e compresi.

B2. A.T. uomo 25 anni

Sogno
“Ero con una donna più grande, forse un’insegnante o una maestra. Avevamo un contatto, forse con la mano. Poi mi voltavo e non c’era più ed avevo sentimenti contrastanti, sentivo l’abbandono, il desiderio e la rabbia che non fosse lì. Lo definisco un sogno agrodolce”.

In questo caso ci troviamo davanti ad un sogno di transfert materno, nel quale il paziente combatte tra istanze contrastanti di desiderio ma anche di sensazioni negative che il rapporto terapeutico risvegliano. Il contatto c’è, ma forte è la paura di essere abbandonati e di scoprire il vuoto dell’assenza, probabilmente tra un seduta e l’altra, che e questo attiva anche sentimenti di rabbia.

B3. E.V. donna 33 anni

Sogno 1
“Sto facendo un viaggio con i miei genitori e quelli del mio ex fidanzato. Andiamo in giro, incontro diverse persone tra cui un’amica incinta che mi dice essersi separata dal compagno, io sono preoccupata ma lei è serena. Il viaggio finisce a casa dei parenti del mio ex fidanzato, era una bella atmosfera e ad un certo punto ho una crisi di pianto perché mi rendevo conto di aver perso tutto questo. Arriva una zia che mi consola e rassicura.”

La paziente ha iniziato la psicoterapia in fase di separazione dal compagno, è significativa la dissociazione tra due aspetti di sé rappresentati anche dall’amica incinta, una parte preoccupata una parte serena. Ciò è chiaro nella fine del sogno nel quale la paziente ha compreso di non poter vivere certe situazioni a causa della separazione e ciò le provoca un forte disagio per il “lutto” che sta vivendo e che riesce ad esprimere nel sogno. Fortunatamente si presenta una zia (terapeuta) che la rassicura e la protegge, segno di un’iniziale esperienza di riparazione vissuta nel transfert.

Sogno 2
“Inizio un altro percorso di psicoterapia oltre a questo che sto facendo. Lo faccio insieme ad un’amica. Per qualche seduta va bene poi, dopo qualche seduta, racconto qualcosa e la terapeuta mi dice una cosa che mi da fastidio. Ho un impulso ed esco da una porta secondaria che si affaccia su un corridoio con altre stanze, aspetto un po’, poi mi pento, penso non sia stato giusto andarmene. Per cui rientro, mi risiedo, la psicoterapeuta è tranquilla, mi aspettava, non è arrabbiata per il mio gesto, io non riesco a capire le ragioni del mio gesto. Lei cerca di sdrammatizzare e di tranquillizzarmi ma io mi innervosisco perché credo che voglia fare l’amica e io voglio interrompere. Siamo in piedi come se si fosse rotto il setting.”

Questo è un sogno di transfert ambivalente. La paziente si scinde in due parti: la seconda è come se stesse facendo un’altra terapia (rappresentata, appunto, da l’inizio di un’altra terapia). Quello che non viene detto, i silenzi che ci sono, lavorano internamente e nel sogno sono agiti (buon punto di partenza, la paziente non lascia il setting nella realtà ma lo agisce e lo rappresenta nel sogno). Lo scopo delle sedute è riportare i conflitti interni in una persona che fa fatica a dire in seduta i vissuti. Spesso in situazioni in cui era contrariata ha fatto fatica a tirarlo fuori. La terapeuta con la sua calma e la sua posizione in assenza di giudizio o di rimprovero per il gesto dell’uscita, viene fraintesa dalla paziente che l’accusa di fare troppo “l’amica”. Il lavoro da fare va nella direzione di aiutare la paziente ad esplicitare i vissuti negativi che, per compiacenza, tende a non far emergere vivendoli fortemente, con la fantasia di lasciare la terapia. Il sogno mette sulla traccia di delineare il transfert e lavorare sulle criticità rappresentate.

B4. P. R. uomo di 38 anni

Sogno
“Ero con un’amica che mi metteva ansia da prestazione”

P.R. è un uomo di 38 anni che arriva in psicoterapia per varie problematiche relative a dipendenze, senso di inadeguatezza, ansia in rapporto con gli altri e somatizzazioni. Nel setting terapeutico, il paziente non sempre riesce ad esprimere i suoi pensieri anche se dal comportamento si evince o un’attesa passiva dall’altro oppure il disappunto, il fastidio quando si affrontano alcune criticità.

In questo sogno si evidenzia il transfert negativo e l’ansia che scaturisce nel vivere la seduta come un luogo in cui c’è una pressione emotiva e la paura di non essere all’altezza. La terapeuta deve tenerne conto per il rischio che il paziente, a causa dell’ansia, accontenti gli altri (tra cui la psicoterapeuta), lavorando di più sulla rassicurazione di un contesto favorevole. In questo caso il sogno di transfert segnala una difficoltà che non è emersa nel dialogo con il paziente e che deve essere messa al centro del lavoro per stimolare riflessioni. La psicoterapia infatti fa emergere vissuti e difficoltà che possono essere affrontati, è un laboratorio in cui le dinamiche presenti sono anche lo specchio di ciò che il paziente vive all’esterno. Questo sogno, oltre all’emersione del transfert, ci può riassumere il problema che il paziente ha con l’ambiente per cui “gli altri” creano disagio con le loro richieste e, appunto, ansia da prestazione.

B5. A.C. donna di 33 anni

Sogno
“Avevo l’età di circa 12 anni e dovevamo andare al cinema con la mia famiglia per vedere il film l’Era Glaciale. Mia sorella vuole un dolce ma costava un po’, lo prendiamo comunque. Perdiamo tempo per l’orario del film e l’addetta al botteghino del cinema ci dice che non potevamo più vedere il film l’Era glaciale ma il film Transformer. Mi arrabbio molto con lei.”

La paziente è una giovane donna con tratti dipendenti e depressivi. Nel sogno si evidenzia una regressione allo stato infantile con la rappresentazione del quadretto familiare e il desiderio di affetto rappresentato dal dolce che vuole la sorella ma costoso (impegno psicoterapia e costi annessi). La perdita di tempo rappresentata dall’esigenza di permanere maggiormente nella fase di esperienza emozionale riparativa, determina una necessità di passare ad una fase più matura (film Transformer) per cui la paziente non si sente pronta. Da lì la rabbia (transfert negativo) che si scatena verso la terapeuta (addetta al botteghino) e di cui è necessario parlare affinché la paziente si senta legittimamente di poter esprimere i propri bisogni nel setting.

B6. T. S. donna di 33 anni

Sogno 1
“Mi trovo dalla parrucchiera di fiducia, vedo un’altra cliente con capelli molto belli e con un bel colore. Dico che sono belli ma la cliente si lamenta con la parrucchiera”.

Sogno 2
“Sto scrivendo la tesi, una professoressa di cui ho fiducia, mi critica. Io rimango male”

T.S. è una ragazza che fatica a trovare la sua strada, anche per una certa labilità umorale che le causa problematiche relazionali. Nei sogni si evince un’ambivalenza nel riconoscere l’aiuto che la psicoterapia le sta dando rappresentato dalle due parti nel primo sogno: lei e la cliente, una riconosce il lavoro e l’altra si lamenta nonostante i capelli belli Questa sua modalità, presente anche nelle relazioni esterne (per questo parliamo di una parte reale e di una parte transferale), determina una scontentezza e uno svilimento dei rapporti, elemento su cui si può lavorare. Il fatto che, nel secondo sogno, una critica fatta da una persona di fiducia (la psicoterapeuta) possa essere vissuta male, ci fa rendere conto della vulnerabilità narcisistica della paziente che sviluppa un transfert negativo.

Si può pensare alla psicoterapia come a una sequenza che alterna l’espressione di un affetto e l’analisi dello stesso (Yalom, 2016)
Abbiamo brevemente descritto alcuni frame di sogni di pazienti perché il sogno può spesso rilevare il transfert sottostante. Spesso i pazienti vanno incoraggiati per gli sforzi fatti e per quello che provano a cambiare. In alcuni casi può capitare che ci sia difficoltà a legarsi alla terapia per mancanza di fiducia sul terapeuta, per esempio nei pazienti che hanno una certa quota di sospettosità, per cui gli altri sono abbandonici o rifiutanti. In questi casi potrebbe essere utile accordarsi con il paziente circa gli scopi terapeutici, autorizzandoci a riportare gli obiettivi alle dinamiche interne del paziente, perché solo con un accordo esplicito si può attuare il cambiamento.

La psicoterapia trasforma l’arco riflesso verso un ragionamento che restituisce libertà nella consapevolezza di sé e dell’altro, laddove c’è la replicabilità di uno schema comportamentale (Fase 2 della PPI). Questo contempla il contatto con l’emozione spiacevole (frustrazione dell’impulso all’azione) rispetto all’azione di riflesso immediato. Per far questo, oltre al racconto dei fatti passati, diamo importanza al qui e ora, che toglie l’enfasi sul passato (punto fondamentale delle teorie psicoanalitiche) dando spazio al presente. Il transfert si attiva nel qui e ora del rapporto, è il rapporto terapeutico, nel quale si manifestano tutti quei problemi che il paziente non sa gestire all’esterno della seduta e che il terapeuta accoglie con empatia e con la sua competenza riflessiva ma partecipando all’interazione. Non solo osservando e analizzando quindi (Yalom, 2016), ma trasformandolo in qualcosa di utile per il lavoro terapeutico. Rispondere al telefono, non arrivare puntuali, stare in silenzio in modo passivo o oppositivo, eccetera sono comportamenti che, se avvengono in modo ripetitivo, parlano di un transfert, ossia il paziente fraintende a livello inconscio, che quella persona (il terapeuta) faccia parte del suo mondo relazionale e affettivo ed in quanto tale riceve le proiezioni positive e negative del paziente stesso. Se il paziente è stato sempre iperprotetto, si aspetterà che il terapeuta lo sia e farà in modo di mettere in atto comportamenti e atteggiamenti che stimolino la protezione. Se è stato criticato e punito, si aspetterà di venir trattato in modo freddo e critico, se ha perso le figure di attaccamento infantili, avrà paura di perdere il terapeuta.
Da questi vissuti, si animano una serie di comportamenti volti ad aggirare tali vissuti esperienze mentali ed emotive, per esempio stare in silenzio per paura che quello che si dice possa essere criticato e così via.
Attraverso la fase 2 della PPI si tende a chiarire e riflettere sul materiale affettivo, mettendo a fuoco le dinamiche interne, concentrandosi sulle emozioni e mettendo da parte le difese.
Come abbiamo visto, le possibili combinazioni di tali proiezioni nel transfert sono moltissime e le ripercussioni sul setting possono mettere in difficoltà il terapeuta, il quale, attraverso la sua capacità di mentalizzazione, potrà riportare al significato originale del gesto o dell’atteggiamento, aiutando alla comprensione di quello che sta succedendo, utilizzando il materiale reale e quello transferale frutto del rapporto, che diventa un mezzo necessario per raggiungere il fine di cura e di benessere del paziente.

6. Conclusioni

Questo articolo nasce con l’obiettivo principale di presentare un lavoro scorrevole sul transfert e con l’intento di descrivere quello che rappresenta per la Psicoterapia Psicodinamica Integrata (PPI). Il nostro modello PPI sottolinea, sicuramente, la presenza delle proiezioni nel fenomeno, con un’attenzione alle dimensioni relazionali evolutive (non pulsionali), ed al legame che si instaura tra i partecipanti al processo nonché un’attenzione alla parte reale del setting, forti della matrice attaccamentista del nostro metodo.
Le dinamiche che si instaurano tra paziente e terapeuta tendono ad enfatizzarsi nella relazione. La ricerca di un rapporto equilibrato, autentico è sempre un buon punto di partenza, indispensabile per la sorte della terapia e per la cura.
La psicoterapia ricrea attaccamenti passati che vivono nella mente del paziente, perché la condizione di sicurezza, di sentirsi compresi, accolti in modo totalizzante, porta il paziente a vivere un affetto potente. Il dialogo terapeutico può lavorare proficuamente per ripristinare una migliore regolazione, con l’integrazione delle parti scisse disregolate o disconnesse della personalità, e contribuire a ripristinare la regolazione degli stati mentali, affettivi e il benessere complessivo tra mente e corpo. Queste parti si incontrano in forti momenti presenti nella mente del terapeuta che lavora nelle zone disregolate della mente entrando in prima persona, utilizzando il proprio sé per sintonizzarsi pienamente con e per il paziente (Fase 1 della PPI).

Attraverso la dimensione umana ed empatica, il terapeuta partecipa alle sofferenze del paziente con una risonanza interna senza, però, colludere e identificarsi totalmente in tali sofferenze che non permetterebbero al terapeuta di comprendere ciò che accade. Restituendo una prospettiva con un processo di riflessione nel setting, avviene l’elaborazione, la riformulazione e la trasformazione dei significati, ricostruendo la storia affettiva del paziente (Fase 2 della PPI). La prospettiva è quella individuale di chi vive il controtransfert rispetto ad un’altra persona. Riconoscendo quindi la dualità del rapporto di due persone che si incontrano e riflettono con due menti non una soltanto (Caporale e Battisti, 2023). Il compito e la responsabilità del terapeuta sono quelli di fornire una “base sicura”, di essere partecipe, disponibile, affidabile, attento, di riuscire a mettere confini e limiti, di proteggere la terapia da interruzioni o preoccupazioni e di sviluppare le proprie capacità relazionali attraverso un lavoro che affina tale capacità umane, di comprensione e di esposizione al transfert, senza angosce.
Quando il setting è protetto da agiti e si crea una sicurezza, questo è già un elemento terapeutico che riconosce al paziente la sua sofferenza e il suo bisogno di essere accolto e riconosciuto. La psicoterapia è densa di significati, tutto ciò che accade in essa va elaborata, per far questo terapeuta e paziente si immergono insieme nella profondità della storia, dei vissuti, delle emozioni e dei pensieri del paziente condividendo ansie e paure nell’analizzare i vissuti. Considerando che la psicoterapia si muove su tre misure: con-tatto, profondità, senso, il terapeuta procede con cautela accompagnando il paziente nell’immersione della storia unica che ha di fronte, approfondendo le dinamiche in atto e dando senso a tutto ciò che accade e che è accaduto.
Il coinvolgimento “intimo” che si sperimenta durante una psicoterapia diventa assoluto, difficilmente il paziente ha avuto esperienza a due così intensa, dove si richiede di avere fiducia piena, rivelare tutto, non nascondere niente, esaminare ogni gradazione dei sentimenti in modo continuativo. Un forte accento lo poniamo sulla formazione personale degli aspiranti psicoterapeuti a questo tema: attraverso il proprio lavoro di analisi e quello di supervisione clinica, si osserva e si vive il fenomeno del transfert per usarlo efficacemente.

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